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LA QUIETANZA LIBERATORIA NON E' OPPONIBILE ALLA CURATELA FALLIMENTARE.


Secondo orientamento ormai consolidato della Giurisprudenza di legittimità, la quietanza liberatoria rilasciata dal creditore (poi fallito) non ha l’efficacia vincolate della confessione stragiudiziale di cui all’art. 2375c.c., tanto da non poter essere opposta al fallimento.

La quietanza, dunque, sebbene sia un documento probatorio dell’avvenuto pagamento, non può essere opposta al Curatore che, anche laddove si ponga nell'esercizio del diritto del fallito e nella stessa posizione di quest'ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo (conf. Cass. n. 24690/2017 Cass. n. 21258/2014; Cass. n. 4288/2005).

Il Giudice, pertanto, nell’attribuire valore liberatorio alla quietanza, deve necessariamente tenere in considerazione ulteriori elementi che possano permettere di ritenere raggiunta la prova dell’effettivo adempimento della obbligazione di pagamento da parte del debitore.

Tale prova, in ragione delle attuali norme antiriciclaggio, che impongono la “tracciabilità” dei pagamenti superiori ad un determinato valore (oggi € 3.000,00 giusta D.L. 26/10/2019 nr 124 convertito in legge il 19 dicembre 2019 nr 157 importo che verrà progressivamente verrà diminuito ad € 1.00,00 dal 01/01/2022) è quindi, particolarmente difficoltosa per il debitore.

Sul punto, la Corte di legittimità, con sentenza nr. 14481/2005 ha, infatti, precisato che la citata legislazione cd. antiriciclaggio (D.L. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1980, n. 15, e il D.L. 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 1991, n. 197) avendo progressivamente imposto limiti e obblighi sulle operazioni (versamento, riscossione, prelevamento) eseguite per contanti, e vietando sic et simpliciter il trasferimento di denaro contante o di titoli al portatore in lire o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire fosse stato complessivamente superiore a lire venti milioni (oggi appunto € 3.000,00) (art. 1, D.L. n. 143 del 1991), conducono a presumere, in caso di pagamenti asseritamente effettuati in violazione di detti limiti, la non veridicità degli stessi in caso di contestazione della loro effettività da parte di chi vi aveva interesse.

A cura dell’Avv. Mira De Zolt

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